Maledizione.
Piove, di nuovo. Mi sono lavata i capelli stamattina, ma va sempre così.
Il
cane mi guarda, come a dire “eh si adesso sono affaracci tuoi.”
Grazie,
Pablo.
Ripenso
al funerale in continuazione, a mia cugina che piange e mia sorella che la
stringe in un abbraccio soffocante. Le gocce di pioggia si infrangono sul
vetro, fuori il freddo e le persone in trepidazione per correre al lavoro,
accompagnare i figli a scuola, recarsi dall’amante, chi lo sa.
Dentro
un fetore di stantio, misto immondizia, proveniente da un barone che dorme in
un posto centrale. Lui si gode il sonno e, alla fine, ci fotte tutti con questa
puzza.
Arrivo
al lavoro, ritardo: 2 minuti e 43 secondi. Scivolo dietro la scrivania, accendo
il pc, mi attacco al telefono e mi infilo gli auricolari senza destare il
sospetto del capo.
“Marta!”
Cazzo.
“Si?!”
“lo
sai come sono le regole qui, no? Cioè se il tuo turno inizia alle 9:00 sei
consapevole del fatto che devi arrivare alle 8:50 per sistemarti e non in
ritardo!?”
“Ah
si certo scusa… ma c’era traffico… sai con la pioggia van tutti più lent…”
“Si
ovviamente, e dovresti saperlo prevedere ormai. Mi aspetto che recuperi con
qualche aggancio vincente.”
Tutto
questo non include una strizzata d’occhio finale con annesso sorriso ammiccante
atti a incitarmi. NO, anzi.
Come
al solito rimango senza parole, a guardarlo come una babbea, mentre lui cammina
verso postazioni altrui dandomi le spalle già da alcuni secondi. Immagino
allora le frasi che potrei sfoderare senza dargli l’opportunità di rispondermi
e sentirmi per una volta vincente di fronte ai suoi inutili rimproveri. E la
cosa che mi irrita di più non è tanto l’ammonizione in se, ma quell’arrogante
aria di giudizio nei miei confronti.
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