domenica 16 giugno 2013

La Grande Bellezza

Una pellicola che ho trovato inaspettatamente affine al mio modo di scrutare ciò che mi circonda.
Un soffermarsi continuo su frammenti della realtà che non tutti forse sono in grado di cogliere spontaneamente.
Il giardino di aranci, il rumore della ghiaia calpestata, il canto incessante dei grilli, lo svolazzare leggiadro di una tunica bianca.
Un ipertesto colmo di flashback e bullet-time, che ti fanno assaporare scorci di una malinconia patologica, che riemerge delicata senza sfociare nella frustrazione.
Ironia e dolcezza si mescolano in una visione che culla teneramente ogni soggetto, ogni personaggio, osservandone curiosamente la superficialità ma senza criticarla. Anzi la accetta come essenza dell'essere, emarginando qualunque pretesa di giudizio.
Non esistono gradini, e anche coloro i quali ci si impongono goffamente al di sopra vengono condotti alla riflessione, in un'ottica che abbraccia l'imperfezione non con rassegnazione, ma con affetto sentito.
Il fulcro non è la diversità, ne la trascuranza delle minoranze o l'analisi delle varietà sociali. Ciò che viene indagato è proprio l'individuazione dell'umanità e della sensibilità di chi ci si trova di fronte. Bastano poche parole per capire, per offrire comprensione e avere la possibilità di apprendere dagli altri. Uno scambio continuo, ma non reciproco, di insegnamenti.
Ci porta a riscoprire e ricomporre i parametri di valutazione. Nella frivolezza mondana, attraverso un gioco di prestigio, sbuchiamo all'interno di pensieri e sentimenti concreti, docili, vulnerabili.
Non vi è spazio per estremismi emotivi, tutto rimane discreto e garbato.
Domina il silenzio dinnanzi agli sguardi, il sorriso dinnanzi ai discorsi, le lacrime -non i pianti- dinnanzi agli eventi.








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