mercoledì 18 settembre 2013

forse dovevo provare pure io il 48182.

Ti scrivo. Ti scrivo perché tanto la mia testa non può studiare al momento, quindi tanto vale farlo.
Ti scrivo perché sono stanca di litigare. Non vi sono colpe da attribuire, ma solo incompatibilità.
Forse una volta esisteva tra noi quell’equilibrio che armonizzava tutto e ci rendeva le cose così facili e belle.
Non so cosa sia cambiato. Sicuramente fatti spiacevoli che hanno influito negativamente, condizioni esterne -come il mio trasferirmi- che non ci hanno aiutati, e qualcosa dentro di noi che ci impedisce di venirci incontro.
Certo lo fai, lo faccio, ma non è più spontaneo come un tempo.
Ho cercato di adattarmi a queste nuovi situazioni, al nostro distacco, al nostro discutere.
Ho provato a reinventarmi per starti accanto e sentirmi parte di te, nonostante non fossimo l’una di fianco all’altro.
Ma non serve.
Perché io mi ritrovo sola, con una manciata di rimpianti in mano di esperienze a cui ho rinunciato e un futuro incerto da parte tua.
Ho tentato di esserti vicina supportandoti, ma nemmeno lì ho realizzato qualcosa di buono.
In realtà io credo che non troverò mai un vero spazio nella tua vita, ne nei tuoi progetti.
Ho talmente paura di porre la parola fine a tutto questo, che al solo pensarci sento la saliva che mi si blocca in gola e non riesce a scendere nonostante i miei sforzi.
Non credo che sarò mai la persona adatta a te, che ti auguri io possa un giorno diventare.
Vorrei non doverci riflettere, ed avere la serenità per concentrarmi su questo maledetto libro, ma non riesco.
E mentre scrivo a te, in realtà scrivo a me stessa.
Mi parlo attraverso questo monitor dalla luce fastidiosa.
Non so quale sia il messaggio che devo cogliere, non so se voglio saperlo, non so se in realtà lo conosco ma non sono ancora pronta a metterlo in pratica.
Com’è che un momento penso a te e ti immagino con estrema dolcezza, e l’istante dopo tutto si frantuma in mille pezzi. Mille pezzettini di una piccola ma logorante inquietudine che non riesco ad allontanare. Nemmeno la notte.
Perfino mentre dormo l’ansia di noi accudisce avidamente i miei sogni.
E quando mi sveglio mi sento sollevata, ma tutto si frantuma di nuovo.
Si infrange nello scontro con la nostra realtà fatta di tenerezze, ma anche di profonda incomprensione.
Continuo ad avere quel nodo in gola, sto cercando di calmarmi, ma non passa.
E vorrei poterti dire con tutta la rabbia e l’impulsività che ho “non mi cercare, non chiamarmi e non mi scrivere!”, solo per farmi chiamare e scrivere e cercare di più. E sentire che non ti allontani, ma anzi che resti vicino e non hai nessuna intenzione di andartene.
Ma non lo faccio, perché sono una cagasotto.
Una persona senza palle che preferisce scrivere per non compromettere quel sottile contenimento dei danni con parole dirette, taglienti, dolorose, arroganti.
Scrivo per sfogare la frustrazione ancorata dentro di me.
Scrivo perché se butto fuori tutto il male che provo, magari poi ne sentirò meno dentro.
Scrivo per capire che in fin dei conti è solo una sciocchezza, non devo darci peso.
Scrivo per rileggere e rendermi conto che ho esagerato, forse è lo stress pre-laurea.
Scrivo per poi poter tornare a studiare con una ritrovata calma e attenzione.

Scrivo, però il nodo in gola è ancora lì.

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